Skip to main content
Start of main content

Permitting: autorizzare una infrastruttura in Italia nel 2022

29 novembre 2022

La vera sfida dello sviluppo infrastrutturale cui si trova di fronte il nostro Paese

di Franco Brambilla

La parola inglese “Permitting” condensa in un unico vocabolo tutte le attività che un addetto allo sviluppo di impianti in Italia svolge quotidianamente, spesso e volentieri nemmeno da solo, ma in una squadra di specialisti, sia tecnici che legali, che insieme collabora fino all’ottenimento dell’autorizzazione.

È un processo complesso che coinvolge diversi attori fin dalla identificazione della infrastruttura che si intende realizzare e che si sviluppa per diverso tempo, anche alcuni anni. E questa è la principale criticità, ovvero la indefinita durata dei procedimenti autorizzativi, che rende inattuali tutti i piani e i programmi economici legati all’opera, facendo venir meno qualsiasi possibilità di finanziamento. La normativa, in realtà, prevede una durata dei procedimenti, quasi mai perentoria, che i vari uffici pubblici coinvolti, perennemente ingolfati di pratiche ed in carenza di personale, sforano.

Sono numerosi gli esempi di investitori che dopo aver finanziato la progettazione di un’opera ed aver incardinato una istanza autorizzativa, sfiniti e demoralizzati, decidono di abbandonare l’idea di realizzarla dopo una trafila di incontri con la pubblica amministrazione e/o i comitati cittadini di protesta.

Un buon esempio è il rigassificatore di Brindisi che la società inglese British Gas decise di realizzare nel lontano 2001. Il progetto prevedeva la realizzazione di un terminal per una capacità di sei milioni di tonnellate/anno di gas naturale liquefatto (GNL) corrispondenti a otto miliardi di gas naturale immesso in rete, con un investimento di circa 800 milioni di euro. Ebbene, dopo oltre 11 anni di paralisi sul fronte delle autorizzazioni e dei permessi e 250 milioni di euro spesi, nel 2012 la società energetica rinunciava al progetto (articolo del 6 marzo 2012 a firma Marco Morino de Ilsole24ore).

Nel corso degli ultimi 30 anni, i vari governi succedutisi hanno cercato di semplificare il groviglio di leggi, decreti, regolamenti che si sono stratificati nel tempo a partire dal famigerato Regio Decreto del 1933. In alcune legislature si è addirittura creato il Ministero per la Semplificazione e sono stati emanati diversi decreti con il nome di “decreto semplificazione”, evidentemente senza troppo successo.

Il primo tentativo per semplificare una materia molto complessa, interdisciplinare e interdipendente è stato quello di provare a raggruppare i diversi provvedimenti emessi dagli enti competenti in materia in una Autorizzazione Unica, emessa da una Conferenza dei Servizi. La Legge 7 agosto 1990, n.241 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, prevede il ricorso a questo “modulo organizzativo” per accelerare le decisioni che coinvolgono una molteplicità di interessi e di conseguenza una pluralità di strutture amministrative.

Negli anni ’90 spirava forte il vento della devolution, la quale opponeva la lentezza dello stato centrale alla velocità degli enti vicini al territorio e sollecitava il conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle Regioni e agli Enti Locali. Dopo varie vicissitudini politiche si giunse alla riforma del Titolo V della Costituzione (Legge 59/1997 “Legge Bassanini”) in attuazione della quale è stato istituito lo Sportello Unico per le Attività Produttive (Sportello Unico Imprese) con lo scopo di organizzare l’intero procedimento per la localizzazione, realizzazione e attivazione della attività produttiva, in un’unica struttura locale responsabile.

Lo Sportello Unico per le Attività Produttive nasce dall'esigenza del mondo imprenditoriale di semplificazione delle procedure amministrative e dunque del permitting. In quest'ottica, dunque, lo Sportello Unico comunale si pone come unico interlocutore nei confronti dell'imprenditore e come responsabile del procedimento unico teso ad autorizzare la realizzazione di un intervento. Le altre Amministrazioni Pubbliche (Regione, Provincia, Asl, Arpa, Vigili del Fuoco, ecc.) intervengono nel procedimento unico, ciascuna secondo le proprie competenze, rilasciando atti istruttori "endoprocedimentali" comunque denominati dalle normative vigenti.

L’azione più incisiva in tal senso è stata la adozione dei Testi Unici di settore, dei veri e propri codici con lo scopo di raggruppare ed ordinare in un unico documento che potesse fare da riferimento per gli operatori. I principali e più noti in vigore sono:

  • Il D.P.R. 380/2001 e s.m.i., Testo Unico per l’Edilizia;
  • Il D.Lgs. 152/2006 e s.m.i., Codice dell’Ambiente;
  • D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., Testo Unico della Sicurezza;
  • D.M. 3 agosto 2015, Codice di Prevenzione Incendi.

I diversi tentativi sopradescritti hanno certamente accelerato i procedimenti autorizzativi o almeno cercato di farlo, salvo poi trovare un ostacolo in alcuni nodi, stavolta non di carattere tecnico ma piuttosto di carattere culturale, che affliggono il nostro bel paese: la sindrome NIMBY (Not in my backyard, non nel mio cortile), il ricorso alla magistratura e la presenza della malavita.

In Italia è risaputo che nessuno vuole che una infrastruttura venga realizzata nelle vicinanze (not in my backyard, appunto), seppur tutti convengono con la necessità ed i vantaggi che questa porterebbe al territorio in termini di sviluppo e ricchezza. Sono cronaca quotidiana la nascita di Comitati Locali di protesta per la realizzazione di un termovalorizzatore o di un impianto per la produzione di energia rinnovabile, pur essendo chiaro a tutti quali sono le necessità energetiche e ambientali del nostro paese. Altrettanto sono ormai numerosi i casi in cui, dopo avere faticosamente ottenuto una autorizzazione, ci si imbatta in un ricorso al TAR che impantana l’opera nelle sabbie mobili della burocrazia.

In realtà, le vicissitudini degli ultimi anni, ovvero la pandemia e la crisi economica conseguente, nonché l’incombere perentorio degli effetti della crisi climatica, stanno radicalmente cambiando il nostro approccio e rendono inevitabili alcuni cambiamenti, ben oltre l’inerzia conservativa del sistema paese.  La sensibilità dei giovani verso questi temi è significativamente migliorata, ed è chiara a tutti la necessità di dare un forte impulso per colmare il gap infrastrutturale del nostro paese. Inoltre, molte società di progettazione e di sviluppo comprendono sempre di più l’importanza del coinvolgimento degli stakeholder fin dalle prime fasi progettuali di un’opera.

Inoltre, le riforme e le scadenze imposte dal PNRR indicano chiaramente la strada e sono una occasione importante di modernizzazione, sia delle strutture che dei processi, nonché una opportunità di rinnovo della classe dirigente del nostro paese. Siamo alla prova dei fatti e dopo molti anni passati a tergiversare ora il tempo è scaduto e i giovani sono pronti a traghettare l’Italia in questa transizione energetica ed ecologica.

End of main content
To top