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Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: ambiente e aree portuali

07 giugno 2021

L’avv. Peres risponde ad alcune domande sulla gestione dei sedimenti derivanti dalle operazioni di dragaggio

Un recente webinar nell’ambito delle Digital Green Weeks di Ecomondo ha offerto l’occasione per fare il punto sulla gestione dei sedimenti derivanti dalle operazioni di dragaggio anche nel contesto delle Missioni 2 (Rivoluzione verde e transizione ecologica) e 3 (Infrastrutture per una mobilità sostenibile) previste dal P.N.R.R.

Abbiamo intervistato l’avv. Federico Peres, Managing Partner di B&P Avvocati, che da anni collabora con Stantec in alcuni progetti di riqualificazione ambientale.

Quali criticità sono emerse nel confronto?

Dal punto di vista giuridico, la criticità principale è legata a una normativa decisamente poco chiara.

In che senso?

Realizzare interventi di dragaggio conformi alla legge significa conoscere le caratteristiche dei sedimenti, avere la capacità tecnica di rimuoverli senza provocare danni e sapere dove ricollocarli ...

... aspetti tutto sommato non eccessivamente complessi...

Sì, ma solo in apparenza. Considera che per disciplinare questi tre aspetti, dal 1998 al 2016, sono stati emanati non meno di dieci provvedimenti normativi e regolamentari. Nonostante l’intento del legislatore di creare ambiti separati, in questa disciplina troviamo frequenti sovrapposizioni e molteplici interpretazioni sia sul piano tecnico che giuridico. L’incertezza del percorso, nel migliore dei casi, complica le scelte o rallenta le operazioni, nel peggiore porta alla rinuncia o all’abbandono.

Ma per quale ragione secondo te è così complesso regolamentare un’attività che, tra l’altro, è vitale per la nostra penisola?

Tutto dipende dalla qualifica dei sedimenti come rifiuti e dalla volontà del legislatore, nazionale ed europeo, di sottrarli a questa classificazione, ma solo se vengono rispettate le stringenti condizioni alle quali il riutilizzo viene subordinato.

Da dove discendono queste condizioni stringenti?

Dal rispetto del principio di prevenzione, uno dei primi elaborati in materia ambientale, che ispira e regola la gestione dei rifiuti. Rispettare il principio di prevenzione significa scegliere la soluzione più cautelativa e, pertanto, gestire qualunque residuo come rifiuto. Salvo le rare eccezioni costituite dai sottoprodotti che il legislatore, proprio perché tali, ha voluto subordinare a condizioni rigorose.

Il principio di prevenzione è fondamentale, ma forse non è il solo da tenere presente. O no?

Esatto. Il principio di prevenzione non solo deve essere temperato da quello di proporzionalità, come insegna anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ma da quando il legislatore europeo ha rivoluzionato il modello di sviluppo basandolo sull’Economia Circolare non è più il solo di cui tenere conto. In altre parole, se da un lato qualificare i sedimenti come rifiuti soddisfa l’esigenza di prevenire i rischi legati a una gestione senza controllo, dall’altro il loro riutilizzo come sottoprodotti – e quindi fuori dalla normativa sui rifiuti – contribuisce sicuramente a centrare gli obiettivi della Circular Economy.

Due principi e due esigenze in conflitto. È un’anomalia?

Niente affatto. Solo pochi anni fa la Consulta ha affermato – pronunciandosi sul caso Ilva – che nella Costituzione non esistono diritti tiranni, ma diritti contrapposti da contemperare, caso per caso.

E questo è un caso simile?

Certamente. L’esigenza di contemperamento irrompe prepotente anche nel P.N.R.R. dove, già all’interno della Missione 2 dedicata alla transizione ecologica, troviamo strategie che, nei termini di cui abbiamo ora accennato, possono confliggere.

Per esempio?

Penso da un lato all’incentivo alla Circular Economy enfatizzato nella componente n. 1 e alla mitigazione dei rischi idrogeologici centrale nella n. 3, ma dall’altro anche alla componente n. 4, sulla resilienza ai cambiamenti climatici, dove è previsto un investimento per il ripristino e tutela degli habitat marini.

Altri casi?

Il più evidente rischio di conflitto è tra la Missione 2 e la Missione 3 che punta al rilancio delle infrastrutture dove troviamo la componente n. 2 dedicata allo sviluppo del sistema portuale. Ci si chiede come sarà possibile sviluppare il sistema portuale in tempi ragionevoli se la gestione dei sedimenti è così complicata e richiede onerosi investimenti economici, a volte necessari anche soltanto per capire se l’intervento potrà, un giorno, essere effettivamente appaltato.

Come fare per realizzare questo contemperamento?

La strada maestra è un riordino delle leggi e dei regolamenti, da accorpare in un unico testo, nel quale compiere scelte chiare e proporzionate. Dopodiché, in linea generale, come del resto il Piano già prevede, è necessario ridurre i vincoli burocratici e riconsiderare alcuni dei parametri da rispettare, oggi molto diversi da un ambito all’altro e in taluni casi espressione di un rigore probabilmente non giustificabile.

E se il riordino non arriva?

Si deve insistere per promuovere un leale e costruttivo dialogo tra il privato e la Pubblica Amministrazione, nella consapevolezza che le esigenze da tutelare sono diverse e che l’una non deve schiacciare l’altra. Certo, il bilanciamento è difficile, basta che pensiamo al dibattito recente sulle misure per contrastare la pandemia. Compromesso non significa infatti, necessariamente, al ribasso, ma anche soluzioni equilibrate. Questa è la prima sfida.

Sull’intervistato:

L’avvocato Peres è fondatore e Managing Partner dello Studio Legale B&P Avvocati all’interno del quale segue il contenzioso amministrativo e civile e la consulenza stragiudiziale. È professore a contratto di diritto dell’ambiente presso l’Università di Padova Facoltà di Ingegneria – Corso di laurea in Ingegneria per l’ambiente e il territorio, docente in Master universitari, seminari e convegni, nonché autore di volumi e contributi per riviste specializzate in materia ambientale. 

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