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Ingegneri vs Architetti: le nostre interviste. Stefania D'Onofrio, architetto.

20 dicembre 2019

Una serie di interviste ai nostri esperti che mette “a confronto” due professionalità così diverse, ma in fondo così complementari, come gli ingegneri e gli architetti.

Perché hai scelto di laurearti in architettura?

Ero affascinata dal patrimonio artistico ed architettonico del nostro paese e, più in generale, di come l’architettura e l’urbanistica di qualità potesse essere una risposta ai bisogni delle persone ed uno specchio della società in cui si inseriscono. Mai questi temi sono stati così attuali. Una progettazione partecipata può creare maggior benessere e favorire l’integrazione e sicurezza. Una cattiva progettazione può acuire congestione, segregazione, incomunicabilità (di recente il TED talk di Marwa Al-Sabouni è stato molto illuminante in questo senso).

Un grande Comune italiano chiede a te e al tuo team di dare nuova vita a un’ex area industriale. Qual è la prima cosa che ti verrebbe in mente di realizzare? Qual è il valore aggiunto di un ingegnere in questo tipo di progetto?

La cosa che mi verrebbe in mente di realizzare non esiste a prescindere. Cercherei, lavorando in team, ad uno spazio che serva il tessuto sociale interessato dal progetto. Che lo renda attrattivo e vivace. Penserei ad un progetto che soddisfi il Cliente ma proponga anche spazi multifunzionali , pubblici e privati, che portino la comunità al suo interno e che vengano sfruttati in un timing giornaliero. Il valore aggiunto di un ingegnere sarebbe quello del lavoro in team. La fusione, sin dall’inizio del percorso ideativo, tra progettazione architettonica e soluzioni tecniche sostenibili è il nostro futuro.

Luciano De Crescenzo (“I Pensieri di Bellavista”) ha scritto: “La sostanziale differenza che passa tra un architetto e un ingegnere sta nel fatto che l’architetto tra due soluzioni sceglie sempre la migliore, laddove l’ingegnere preferisce quella che ha meno difetti. Il primo si lascia trascinare dall’emozione, il secondo dai numeri.” Cosa ne pensi?

Penso che possa essere veritiero anche se non sempre. L’architetto più di frequente mantiene, oltre all’interesse per le scelte tecniche, anche una forte attenzione per quelle simboliche ed emozionali. Inoltre un buon architetto mantiene alta l’attenzione alle esigenze sociali. Mi viene in mente un esperimento molto interessante: Quinta Monroy, progetto del 2003, realizzato nella cittadina desertica di Ichique da Alejandro Aravena. Qui un problema complesso di budget, costo del terreno e disponibilità economica delle famiglie, è stato brillantemente tradotto da un architetto urbano in una struttura ‘a metà’, aperta alle trasformazioni e agli apporti spontanei dei propri abitanti.

Qual è la situazione più difficile che hai dovuto gestire in uno dei tuoi progetti?

L’assenza di una visione da parte della Committente e l’incapacità del team di suggerirla. La successione spasmodica di cambiamenti progettuali legati unicamente a scelte personali o estetiche. L’architettura non può essere solo estetica. La bellezza fa parte del progetto ma non può essere ciò che lo guida. Questo non toglie che l’ascolto del Cliente sia di centrale importanza. Ma anche il Cliente dovrà sempre più rivolgere la propria attenzione alla sostenibilità e la partecipazione nel progetto.

Qual è il tuo cliente ideale?

Qualcuno che sappia sposare il proprio interesse, che è imprescindibile, con le esigenze della città, dei quartieri, della società. Che veda nel progetto una possibilità di sinergia con altri progetti e tenga conto della sostenibilità e della resilienza urbana in senso ampio.

Quale sarebbe il tuo progetto ideale?

Mi piacerebbe realizzare uno spazio pubblico partendo da una infrastruttura dismessa oppure riprogettare una scuola pubblica. Di recente mi ha affascinato moltissimo l’asilo progettato dall'architetto Takaharu Tezuk che è riuscito a creare degli spazi che aiutano l’apprendimento ed il benessere dei bambini. Chi cresce vivendo un’architettura che risponde alle sue esigenze, la pretenderà anche in futuro. E i bambini sono il nostro futuro.

C’è un progetto di Stantec che secondo te è un esempio memorabile di architettura?

Sono molto affascinata dalla molteplicità di progetti architettonici ed urbani in cui Stantec sta portando un valore aggiunto in termini di sostenibilità. Dal retrofitting di edifici con più di 50 anni, alla riorganizzazione della mobilità urbana. Dal design di edifici ad Impatto Zero a spazi che garantiscano sicurezza, vivibilità e benessere. Tutto questo per puntare a città e comunità sempre più in grado di reagire ed adattarsi ai cambiamenti (non sempre noti) che ci porterà il futuro.

Uno studente che sta per diplomarsi ti chiede un consiglio: ingegneria o architettura?

Dipende dall’ispirazione personale. Conosco colleghi che sono passati dal corso di ingegneria ad architettura e viceversa. La passione è alla base del “fare bene”.

Come potrebbe essere composto il team di lavoro perfetto?

Multidisciplinare, multiculturale ed aperto al confronto. Nella progettazione, come nei rapporti in generale, i risultati migliori nascono dall’ascolto e dalle competenze condivise.

 

Informazioni sull'intervistata

Stefania D'Onofrio è architetto e ricopre il ruolo di Senior Technical Specialist in Stantec. Ha 8 anni di esperienza in materia di Salute e Sicurezza Titolo IV, in particolare nell’ambito di cantieri infrastrutturali e nell’implementazione di Sistemi di Gestione Integrati Qualità, Ambiente e Sicurezza. È anche esperta in bonifiche ambientali amianto e fibre artificiali vetrose.

  • Stefania D'Onofrio

    Stefania D’Onofrio è architetto e Senior Technical Specialist in Stantec con oltre 8 anni di esperienza maturata in materia di Salute e Sicurezza Titolo IV.

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